Cosa fare quando ci si accorge che il dolore non è più solo un evento, ma una forma di presenza costante? Un nodo che stringe, un pensiero che ritorna, un senso di fallimento che, pur facendo soffrire, sembra impossibile da abbandonare: perché, ci chiediamo, continuiamo a restare legati a ciò che ci ferisce? Il paradosso è reale. Desideriamo guarire, ma qualcosa dentro di noi resiste. Un meccanismo silenzioso, potente. In questi momenti, rivolgersi a uno psicologo, psicoterapeuta psicoanalitico può essere un modo utile per aprire un varco in questa apparente contraddizione. Per iniziare a guardare il sintomo non come un nemico, ma come un messaggio da decifrare. Cosa ci sta dicendo il nostro inconscio?
Quando il dolore diventa dimora
“Se soffro, voglio smettere di soffrire.” Sembrerebbe ovvio. Ma la psicoanalisi ci invita a sospettare delle risposte semplici. Sigmund Freud ha aperto la strada, mostrando come molti dei nostri sintomi psichici siano compromessi tra desideri inconsci e divieti interiori. Jacques Lacan ha approfondito la questione, introducendo il concetto di jouissance, quel godimento che non è piacere, ma qualcosa di più oscuro: un attaccamento al dolore stesso.
Il sintomo, dunque, non è solo disagio. È anche, paradossalmente, soddisfazione. Una soddisfazione inconscia, che non riconosciamo come tale. Ma che ci trattiene e ci rassicura, in qualche modo. Sappiamo chi siamo, dentro quel dolore. Lasciarlo andare significherebbe perdere un pezzo di identità, affrontare il vuoto che rimane.
L’esperienza clinica ci mostra quanto questo legame sia difficile da sciogliere. Perché il dolore, anche se ci logora, diventa casa. È questo il punto di partenza di ogni percorso psicoanalitico autentico: riconoscere che, prima di guarire, occorre accettare la perdita di ciò che ci tiene prigionieri.
Poi, c’è un altro aspetto da considerare, ovvero che la relazione terapeutica non è mai neutra. Nel legame simbolico che si crea tra analizzando e analista si attiva il cambiamento. Quando ci affidiamo a uno psicologo, psicoterapeuta psicoanalitico, come Mariano De Vincenzo, non riceviamo risposte prefabbricate. Riceviamo attenzione. Un ascolto profondo, non giudicante. Un luogo dove portare anche ciò che pensavamo inconfessabile. E è proprio attraverso questo tipo di relazione che il sintomo comincia a parlare un’altra lingua.
Il dolore, allora, non è più solo da sopportare. Diventa interpretabile. E nell’atto di raccontarlo, qualcosa si scioglie. Il transfert, se sostenuto da un analista capace di desiderare non per sé, ma per la verità dell’altro, diventa motore di trasformazione. È lì che nasce il coraggio di lasciare andare il godimento patologico. Perché in quell’incontro, finalmente, ci si sente visti. E quando ci sentiamo visti, possiamo cambiare.
Il percorso di psicoanalisi
Guarire, in psicoanalisi, non è mai semplicemente far sparire il sintomo. È trasformare il rapporto con esso. Un aspetto che pregiudica talvolta la terapia è proprio il desiderio di tornare a uno stato precedente alla sofferenza. Eppure è una cosa semplice, che impariamo da bambini: non si torna indietro, le lancette non tornano indietro e il passato è tale perché è, appunto, passato. Semplicemente, con il percorso è possibile trovare una nuova forma di esistenza.
Mariano De Vincenzo lavora in questo settore da anni per accompagnare le persone in questo tipo di trasformazione. Il suo approccio integra la solidità della psicoanalisi con una sensibilità clinica profonda, costruita tra Napoli, Roma, Londra, Parigi, in contesti individuali e organizzativi. Non si limita a intervenire sul sintomo, ma aiuta a riconoscere come quel sintomo è inserito in una storia più ampia. La nostra. Ogni percorso è unico e ogni paziente è diverso. Ma c’è una costante: il momento in cui qualcosa si muove. Quando si comincia a lasciare andare un dolore che sembrava nostro per sempre. Quando si accetta che perdere quel godimento è, in fondo, un atto di libertà. Forse il “prezzo” della guarigione può inizialmente spaventarci, ma solo così si muove quel primo ma significativo passo che ci porta alla fine di un percorso.